Dopo la scomparsa della sorgente d’acqua dolce di Cartaromana (della cui esistenza parla Boccaccio nel Decameron), gli abitanti di Ischia Ponte si trovarono dinanzi al problema, serissimo, della mancanza di acqua potabile. Un problema che, in realtà, per secoli ha riguardato l’intera isola, ricchissima di sorgenti termali calde, ma afflitta da una “grandissima carestia di acque fresche“come annotava il medico calabrese Giulio Iasolino nel celebre “De’ Rimedi naturali che sono nell’isola di Pithecusa, hoggi detta Ischia“.
Pare che fu lo stesso Iasolino ad accompagnare presso la fonte di Buceto il cavalier Orazio Tuttavilla, incaricato dal Vicerè di Napoli, Cardinale Antoine Perrenot de Granvelle di provvedere alla costruzione di un acquedotto per incanalare le acque della sorgente fin dentro il “borgo di Celsa” (Ischia Ponte); all’epoca, – siamo alla fine del ‘500 -, cuore politico, civile e culturale dell’isola d’Ischia.
A tal scopo, come ci informa lo storico locale Giuseppe D’Ascia, autore di una poderosa monografia sull’isola d’Ischia, il cardinal Granvela concesse all’università di Ischia l’esenzione dal pagamento della tassa sul vino, “acciocché queste somme riscosse pel detto dazio invece di andare a profitto del regio erario fossero invertite alla costruzione dell’acquedotto, che l’acqua di Buceto ad Ischia avesse condotto” (Giuseppe D’Ascia, Storia dell’Isola d’Ischia, 1864).
Tuttavia, la costruzione dell’acquedotto si rivelò particolarmente ostica e passò quasi un secolo – dal 1580 al 1673, per la precisione – prima che la realizzazione dell’opera si sbloccasse grazie al Vescovo di Ischia Mons. Girolamo Rocca. Fu quest’ultimo, infatti, ad assumere il controllo dei lavori (dalla progettazione al reperimento dei fondi) comprendendo, dopo un primo tentativo andato a male, la necessità di costruire una seconda fuga di archi per attutire la pressione dell’acqua. Grazie a quest’intuizione, e al grande spirito di sacrificio delle maestranze coinvolte nel progetto, si ottenne il primo, rudimentale, zampillo dell’acqua di Buceto nel centro di Ischia.
Per celebrare l’evento, Mons.Rocca fece incidere attorno la fontana da cui scaturiva l’acqua poche, profetiche, parole:
“Queste acque si sono ottenute col sacrificio sul cibo, la sete, da buona maestra, ha insegnato a sopportare la fame.”
(lett.: “Has sudavit aquas cereris patientia curtae edocuit que famem ferre magistra sitis.“)
Una profezia che, oltre a esaltare lo spirito di sacrificio di chi materialmente aveva concorso all’ultimazione dell’opera, secondo alcuni metteva in conto, con l’arma dell’ironia, la successiva “damnatio memoriae” di cui Mons. Rocca fu oggetto. Nel 1759, infatti, venne scoperta la targa che ancora oggi adorna la facciata del Palazzo Dell’Orologio a Ischia Ponte. Incredibilmente, la targa non fa menzione del contributo di Mons. Girolamo Rocca (nel frattempo, deceduto nel 1692):
“A Dio Ottimo Massimo – I decurioni ischitani diedero ai cittadini, perché ne usassero e godessero l’acqua derivata a pubbliche spese dalla sorgente di Buceto al quarto miglio, ed ornata di una vasca di travertino e diretta verso sì grande torre, ove si tenevano le adunanze ed aggiuntovi l’orologio. Anno 1759.”
(lett.:”D. O. M. Aquam ex fonte Buceti ad IV M. P. pubblico aere derivatam labroque ex tiburtino lapide ornatam et Turri in qua concilia fierent adpositam Addito horario Decuriones Pithecusan Utendam fruendam civibus dederunt. A. MDCC LVIIII“)
Questa, sinteticamente, la storia di una grande opera di ingegneria idraulica spesso, erroneamente, attribuita ai romani. Oggi, l’acquedotto non rappresenta soltanto il confine amministrativo dei comuni di Ischia e Barano, ma soprattutto – rappresenta – la testimonianza storica più importante della proverbiale laboriosità degli ischitani.
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