A fianco la divisione “ufficiale” dell’isola d’Ischia in sei comuni, ne è sempre esistita un’altra “ufficiosa“, ma non meno importante della prima: quella tra “mer ‘e coppe” e “mer ‘e vascio”, ossia tra la parte alta e la parte bassa dell’isola (meros in greco significa appunto “parte”). Divisione, quest’ultima, che rimanda alle differenze tra i borghi in cui è più forte l’impronta rurale e gli ambienti costieri che, invece, si sono aperti prima al commercio e al turismo.
Guai però a enfatizzare troppo queste differenze o a immaginare un’isola a due velocità. Soltanto, il turismo ha dispiegato i suoi effetti in tempi e modi diversi, consentendo agli abitanti di “Merecoppe”, e per molti aspetti anche a quelli di Forio, di conservare più a lungo tradizioni e consuetudini un tempo patrimonio comune dell’isola. Pensiamo all’agricoltura, specie alla coltivazione della vite. Pensiamo alla gastronomia: ancora oggi, chi vuol mangiare il coniglio all’ischitana farà bene (con le dovute e numerose eccezioni) a scegliere i ristoranti e trattorie del versante sud-occidentale dell’isola.
Le altre differenze hanno a che fare col dialetto e l’orografia. Famoso il saggio del linguista tedesco Kaden Woldemar in cui, per la prima volta, vennero evidenziate le differenze tra il dialetto del versante settentrionale e quello del versante meridionale (che, poi, è quello più in alto sul livello del mare). Siamo alla fine del XIX secolo e Woldemar scrive a proposito delle donne di Serrara Fontana:
“anche per chi ha imparato l’italiano con un maestro fiorentino e con le migliori grammatiche e con metodi molto efficaci, sarà difficile parlare con loro, perché tutte parlano nel dialetto più oscuro, mescolato con una gran quantità di lemmi antichi, greci, latini, spagnoli e di altri sostrati linguistici”.
“L’Isola d’Ischia nei suoi aspetti naturali, topografici e storici del passato e del presente” (Luzern, Prell,1883)
Poche righe che ancora oggi rappresentano un affresco potente della storia millenaria dell’isola d’Ischia che, giova ricordare, è stata la prima colonia della Magna Grecia. Quanto all’orografia, è tra Serrara e Barano che c’è il maggior numero di alvei naturali, fenditure che dal mare danno l’impressione di una “scorza di melone troppo matura“, secondo la felice espressione dello scrittore inglese Norman Douglas. Cave profonde, da qualche anno sempre più frequentate dagli appassionati di trekking, segmento in costante ascesa sull’isola d’Ischia.
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Insomma, è a “Merecoppe”, nella parte alta dell’isola, che bisogna recarsi per approfondire l’anima di terra degli ischitani, fiero popolo di contadini cui il suolo vulcanico dell’isola ha sempre regalato – e continua a regalare – generosi frutti. Qui, tra Serrara Fontana e Barano, abita il “genius loci” dell’isola più bella del Golfo di Napoli.
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